Oltre la Libia, il terrore.

Metti una calda giornata di primavera. Calda come sa essere in Marocco. A Marrakech. Mettici un bar affollato, l’ Argana Cafè,  in una delle  piazze più trafficate , piazza Jemaa El Fna (Raduno dei morti), cuore della medina, stracolma di turisti provenienti da ogni dove. Tutto scorre con quella consueta frenesia, tutto e tutti rincorrono qualcosa che sanno. O forse no. Nessuno disposto a fermarsi, ad interrompere il cammino verso luoghi o persone; un posto da vedere, un’ opera d’ arte da ammirare, una bevanda da gustare, il lavoro che incombe, la gioia di un gioco, il tempo da ingannare. È un boato, alle 12,30 italiane, a porre fine ad ogni velleità. Chi è più fortunato, è chi ha ancora gli occhi nelle orbite, per piangere. Chiuderli e far finta che non sia così, accarezzarli, per poi riaprirli e guardare in faccia una realtà talmente orrenda che non regaleresti neanche al peggior nemico. Nessuno è responsabile, ma tutti coinvolti.  Quei 14, finora, morti, quei 20, per adesso, feriti, chi ha visto, chi ha sentito ma non solo. Noi, voi, i paesi che si (auto) proclamano civili, quelli che decidono quali, e quando, guerre combattere, che stabiliscono cosa e chi è giusto sacrificare. Quale pace sia più pace, quale popolo abbia diritto alla autodeterminazione, e chi invece no. Poco importa cosa verrà accertato. Se verrà appurato perchè e come 4 bombole di gas erano piazzate al primo piano del palazzo in piazza Jemaa El Fna. Chi sia stato, se un kamikaze isolato o un gruppo terroristico organizzato. Quello che rimane è il dolore. La vera scommessa, colorata di speranza, è la solidarietà umana. Così da non girarci dall’ altra parte, solo perchè il colore di cadaveri e bombe è diverso dal nostro.

Una decisione non presa , pesa più di una bomba sganciata. Perchè ci imprigiona, ci lascia impotenti.

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